sabato 19 novembre 2011

ESO - ELT e crisi economica

Abbasso le sigle dirà qualcuno, e non certo con tutti i torti.

ESO infatti sta per "European Southern Observatory", Osservatorio Europeo dell'Emisfero Sud. Si tratta di una grande organizzazione multi-nazionale, principalmente europea, ma non solo, alla quale l'Italia aderisce dai primi anni '80 e che si propone di permettere agli scienziati del consorzio di poter accedere a strumenti all'avanguardia della tecnica per compiere ricerche astronomiche. L'ESO, come il forse più noto CERN, che si occupa di fisica delle particelle, è parte di quelle iniziative scaturite in seguito al sogno europeista degli statisti degli anni '50 e '60.
Ed in un certo senso è un sogno diventato realtà, con la scienza europea opportunamente organizzatasi in maniera da condividere gli sforzi capace di raggiungere vette assolute di eccellenza. Tornando allo scenario astronomico, a noi più congeniale, la straordinaria avventura umana e tecnologica che ha portato alla progettazione, costruzione, e operatività del VLT, il famoso complesso di 4 telescopi da 8 metri circa di specchio ciascuno, tuttora il più avanzato e potente osservatorio astronomico del pianeta, è un esempio dei risultati eccellenti di questa collaborazione.
Un altro esempio, probabilmente non ancora molto noto al grande pubblico in quanto proprio agli inizi della sua fase di operatività, è costituito dalla rete di telescopi per osservare alle lunghezze d'onda del millimetrico ALMA

Naturalmente però un'organizzazione di questo genere è pensata e strutturata per perseguire sempre ideali di innovazione, e mentre il VLT entra nella sua fase di maturità ed ALMA comincia a funzionare, è il momento di porre le basi per lo sviluppo futuro. Un ambizioso progetto dell'ESO è infatti già in fase molto avanzata di studio ed è all'inizio della fase costruttiva vera e propria, per arrivare all'operatività, diciamo, nel decennio che parte con il 2020. Si tratta dell'ELT, acronimo effettivamente un po' banale che significa niente di meno che "Extremely Large Telescope", Telescopio Estremamente Grande... il nome non è certo però malpensato: sarà un telescopio con uno specchio primario di dimensione effettiva dell'ordine di 40m!
Non ci si faccia comunque spaventare dall'orizzonte temporale, il lancio di un satellite o ogni altra avventura tecnologica su grande scala richiede anni di lavoro e preparazione, e potete immaginare quanto la scienza europea potrà crescere quando avrà a disposizione uno strumento del genere, e in tempi molto più brevi quando l'industria europea ne godrà dovendo partecipare alla costruzione di questa meraviglia tecnologica.

In realtà l'aspetto finanziario dell'impresa non è affatto secondario, al contrario le competenze che l'industria europea potrà e dovrà sviluppare in campi come la meccanica di precisione, l'elettronica, l'informatica, l'ottica, ecc. sono impressionanti e tali da permettere alle aziende coinvolte di competere nel mercato globale partendo da una posizione di grande vantaggio. Si pensi, i temi economici nostro malgrado sono diventati pane quotidiano, che si tratta di un'attività industriale ad alta tecnologia e quindi meno soggetta alla competizione di paesi con bassi costi di produzione e di conseguenza capace di generare un'elevata redditività come anche un potente effetto volano sull'indotto circostante. 

C'è un problema però. L'Italia allo stato attuale della situazione non parteciperà a questa impresa, e per la prima volta in trent'anni di successi dell'ESO, il nostro Paese dovrà mettersi alla finestra. 

Quello che accade è che naturalmente la partecipazione a questa impresa tecnologico/scientifica non è gratuita, richiede diversi investimenti da parte dei paesi partecipanti, e questi investimenti sono grossomodo proporzionali all'importanza economica del paese nel consorzio o, semplificando, in pratica al famigerato PIL, prodotto interno lordo.
L'Italia, come è noto, è un'economia rilevante e, per farla breve, per partecipare alla fase iniziale del progetto il nostro Paese dovrebbe investire circa 50 milioni di €. Una cifra senz'altro rilevante, senza dubbio. 
Ma a quanto pare così non sarà, e per ragioni ovviamente legate alla necessità di contenere la spesa pubblica, altro argomento ben noto, anche questi investimenti sono caduti sotto la voce delle spese eliminabili.

La questione del bilancio dello Stato va ben oltre naturalmente la partecipazione dell'Italia a questa o quest'altra impresa tecnologica, e certamente si tratta di un argomento che, come tutti quelli specialistici, dovrebbe essere trattato da persone con competenze specifiche e conoscenza dettagliata.

Quello che però possiamo rilevare è che questo genere di economie sulle spese dello Stato appaiono essere molto probabilmente un pessimo affare. Sia sulla base di esperienze precedenti, come la costruzione del VLT, che da analisi delle industrie del settore, la partecipazione italiana al progetto garantirebbe un ritorno in commesse industriali al nostro Paese di almeno altrettanto quanto investito, e possibilmente come è accaduto in passato, anche del doppio. 

E' comprensibile allora come organizzazioni che non hanno nulla a che fare con la ricerca scientifica di base propriamente detta, come Confindustria, si siano mosse per salvaguardare questi investimenti strategici proprio per la loro natura di generare un indotto preziosissimo per un Paese caratterizzato da un paio di decenni di crescita economica asfittica. Riporto a titolo d'esempio un vecchio articolo del Sole 24, risalente al gennaio 2009, dove si commentava quanto questo tipo di avventure scientifiche siano ricche di ricadute economiche di valore. 

Rimane solo da sperare che, per la scienza, prima di tutto, ma almeno per l'economia se proprio l'estetica della scienza non ci scalda in tempi di crisi, la nuova compagine governativa possa opportunamente riconsiderare questo suicidio culturale ed industriale.


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