mercoledì 16 dicembre 2015

Quando l'Italia aspirava alle stelle

A molti, anche fra "gli addetti ai lavori", può far piacere pensare in qualche modo all'astrofisica come ad un mondo relativamente poco legato ai vari aspetti del quotidiano, sostanzialmente astratto, e non certamente vincolato alle dinamiche sociali e politiche.

Non è vero, ovviamente, da molti punti di vista. E non solamente perché la ricerca scientifica, ora come anche in passato, richiede investimenti e quindi risorse, ma anche perché talvolta assume un significato simbolico che in determinati periodi storici va addirittura ad influenzare scelte politiche e sociali. 

E così è stato verso la fine degli anni '70 dell'ottocento, anni che rappresentano un momento molto importante per la storia del Regno d'Italia. Con la "presa di Roma" il processo risorgimentale era in gran parte compiuto, e sul tappeto emergevano tutti i grandi problemi legati alla gestione ed organizzazione del nuovo stato unitario. Fra questi, sicuramente fra i più impellenti, c'era quello della stabilizzazione finanziaria delle casse del nuovo stato che usciva dalle continue campagne militari delle guerre d'indipendenza pesantemente indebitato.
Fra le varie misure escogitate dalla nuova classe dirigente di sicuro la più nota, se non altro per le sue caratteristiche di iniquità sociale, fu la famigerata tassa sul macinato che fu promulgata per la prima volta nel 1868 quando capo del governo era Luigi Menabrea, scienziato ed intellettuale di notevole spessore. Il pareggio di bilancio, risultato oggettivamente non di poco conto, fu raggiunto nel 1876 con Marco Minghetti presidente del Consiglio e Quintino Sella onnipresente ministro delle finanze in più occasioni. Non è lo scopo che ci prefiggiamo oggi, ma Menabrea meriterebbe un approfondimento a parte. Basti dire che la sua opera, in francese, fu tradotta in inglese da Ada Byron, figlia del poeta Lord Byron, più nota come Ada Lovelace, e matematica di grande valore. Il lavoro di Menabrea, ampliato in grande misura dalla Lovelace, divenne poi la base delle elaborazioni di Charles Babbage, considerato non a torto come il padre del concetto moderno di calcolatore elettronico. 

Schiaparelli nella famosa illustrazione della
Domenica del Corriere
È in questo scenario, con un'eredità sociale difficile fra disordini popolari e lotta al brigantaggio, che il Paese comincia ad affrontare un ambizioso programma di ammodernamento infrastrutturale e culturale. Ed è nel 1878 che si apre un dibattito parlamentare per una spesa che a molti, anche allora, sembrava essere alquanto improduttiva, e per certi versi forse anche immorale, in un Paese ancora estremamente povero per un'ampia fascia di popolazione: la costruzione di un grande telescopio per l'Osservatorio Astronomico di Brera, uno strumento che avrebbe permesso al suo illustre direttore, Giovanni Schiaparelli, di risolvere finalmente il grande enigma dei canali di Marte.

Negli ultimi decenni dell'800, infatti, uno degli argomenti scientifici più caldi e dibattuti era quello delle condizioni ambientali alla superficie dei pianeti vicino alla Terra. Proprio in quegli anni telescopi dal diametro e qualità adeguata cominciavano ad essere disponibili, ed i più valenti astronomi si dedicavano a lunghissime ore di osservazione documentando con disegni ed appunti quello che appariva negli oculari dei loro strumenti. Marte, come sanno benissimo gli astrofili, è facilmente riconoscibile ad occhio nudo anche per il suo evidente colore rosso, ma al telescopio appare solo come un disco di piccole dimensioni. Tuttavia per la combinazione delle orbite intorno al Sole della Terra e di Marte ogni circa due anni accade che i due pianeti si trovino ad una distanza reciproca molto ridotta ed era, ed è, in queste epoche che le osservazioni visuali possono permettere di distinguere dettagli della superficie marziana. Le calotte polari, le principali caratteristiche orografiche, ed i cambiamenti stagionali attirarono così l'attenzione degli scienziati del tempo. E fra questi Schiaparelli, ma non solo lui, vide un fitto reticolo (i famosi canali) che sembravano cambiare struttura con le stagioni e che potevano suggerire la possibilità che fosse un poderoso sistema di irrigazione di una avanzata civiltà marziana.
Un manoscritto originale di Schiaparelli
L'epoca in cui tutto questo avveniva era il tardo ottocento, ovvero un periodo storico in cui l'eccitazione per il progresso tecnologico era probabilmente al suo apice ed in breve il tema dei canali uscì dallo stretto dibattito scientifico per entrare a gran forza nella cultura popolare dando vita al perdurante mito dei marziani, con tutta una ampia produzione letteraria, da H.G. Wells a Robert Heinlein, ed oltre, che ancora conosciamo e coltiviamo. Va detto, per la verità, che Schiaparelli descrisse i risultati delle sue osservazioni anche in una serie di scritti pubblicato con il titolo di "La Vita sul Pianeta Marte", disponibili gratuitamente anche su diverse piattaforme di e-reading, dove l'autore con un tono tranquillo e meditato disserta sulle varie cause naturali per spigare le sue osservazioni ma anche non mancando, alla fine, e ben chiarendo che stava dando libero sfogo alla fantasia, di ipotizzare anche cause artificiali legate ad un'ipotetica civiltà marziana. 

Poco importa, in questa sede, che l'acquisto del nuovo e grande telescopio, con certamente grande sconcerto dello Schiaparelli, non solo non mostrava con maggiore chiarezza i supposti canali, ma al contrario ne rendeva l'osservazione più complessa dando supporto a coloro che, anche allora, risultavano scettici rispetto alla reale esistenza di queste strutture.

Il dibattito parlamentare che portò all'approvazione della spesa è di enorme interesse politico e culturale. Ne abbiamo ora facile accesso in quanto recentemente Gerardo Bianco,   ministro della Pubblica Istruzione nei primi anni '90, ha curato un interessante resoconto dello stesso pubblicato nel numero 3 del 2015 della rivista "Studi Desanctisiani", di Fabrizio Serra Editore. Dal dibattito si deduce, ad esempio, che il ruolo dell'allora ministro della Pubblica Istruzione Francesco De Sanctis fu assolutamente centrale nella vicenda, anche più di Quintino Sella, da sempre mentore e sostenitore dello Schiaparelli. Leggendo il resoconto si apprezza innanzitutto l'elevatezza del dibattito. I temi pragmatici non mancano, così come anche temi di qualche peso retorico o persino, diremmo oggi, populista. Nella discussione però emergeva con chiarezza come i membri del parlamento regio pensavano di discutere di un investimento il cui significato andava ben oltre uno strumento scientifico per un istituto, ma che poteva diventare simbolo di un paese, l'iItalia, che finalmente si riappropriava del ruolo che le spettava fra le nazioni. Temi di impatto nazionalistico e tardo-risorgimentale, senza dubbio, ma non privi di eleganza e sostanza. Vediamo, ad esempio, il commento alla legge da parte di Stanislao Cannizzaro, valente e noto chimico: 

"le nazioni illuminate si guardano bene dalla volgare distinzione tra le investigazioni utili e quelle di lusso, conoscendo già che tutte le parti del scibile umano si collegano e coadiuvano reciprocamente e progrediscono o decadono insieme"

Un commento quanto mai attuale sulla veramente molto poco fondata separazione fra ricerca di base ed applicata. Oppure dello stesso De Sanctis, nel rintuzzare i pochi commenti negativi all'acquisto: 

"Noi dobbiamo non sentirci al di sotto di nessuno quando vogliamo sviluppare le nostre facoltà intellettuali. Crede egli l'onorevole Senatore Pepoli che, parlando di ferrovie e di tassa di macinato, l'Italia affermi innanzi al mondo la sua esistenza morale? Ma non è questo che fa grandi i popoli; e se abbiamo voluto l'Italia, facciamo almeno che quest'Italia possa innanzi agli altri apparire degna de' suoi alti destini"

Fa una certa impressione, per altro, vedere con quale lucidità l'umanista De Sanctis vedesse nella scienza un sapere nobile e certamente non relegato nell'angusto regime delle cose utili ma poco di più.

Sia come sia, il telescopio fu acquistato e venne installato a Brera dove rimase fino al 1935 quando venne trasportato alla sede di Merate dell'Osservatorio Astronomico di Brera per cercare cieli più bui e non influenzati dalla turbinosa espansione della città di Milano di quegli anni (e dei successivi...). A Merate il telescopio rimase operativo fino a circa gli anni '60. Lo sviluppo tecnologico ovviamente rese progressivamente obsoleto il telescopio che fini smontato nei magazzini dell'Osservatorio quando non addirittura "cannibalizzato" per completare strumenti di nuova concezione sviluppati dai tecnici dell'istituto di Brera.

La storia di questo strumento sembrava, quindi, essere arrivata al capolinea, anche se in realtà una nuova consapevolezza dell'importanza della preservazione e valorizzazione del patrimonio storico non solo artistico ma anche scientifico ed industriale ne ha aperto un nuovo capitolo. Di tutta questa fase, però, parleremo ampiamente nella prossima parte di questo intervento.

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